PageRank.
Si chiama così il tesoro di Google, protetto da un brevetto e custodito gelosamente dall’azienda di Menlo Park.
È proprio grazie ad esso che quotidianamente possiamo cercare le pagine nel Web, essendo l’algoritmo che attribuisce l’ordine di posizionamento una volta digitata una parola sul motore di ricerca.
Sebbene nel corso del tempo si sia evoluto, adattandosi al crescere di Internet, ricorda la ricetta della Coca Cola o il celebre mix, tenuto celato, delle 11 spezie del colonnello Sanders e del suo KFC, nascoste in cassaforti e sorvegliate a vista, sulle quali vengono create suggestive leggende.
Che gli algoritmi facciano parte della nostra vita è ormai risaputo.
È una formula segreta che sceglie cosa mostrarci nei social che bazzichiamo, sono tante righe di codice che ci propongono gli acquisti consigliati su Amazon o i film scelti per noi su Netflix.
Come in uno spettacolo ci si concentra sulle marionette e non su chi muove i fili da sopra, è normale non prestare troppa attenzione alle ruote che fanno muovere la macchina.
Se pensiamo agli algoritmi, ecco che ci vengono in mente gli esempi citati, in grado di capire come muovere gli ordini e le visualizzazioni.
Non sono solo questi.
Piano piano la tecnologia sta sostituendo gli operai, gli autisti e con loro molti altri mestieri. Tuttavia si dice spesso che l’arte rappresenti il massimo dell’espressione umana ma siamo davvero così fiduciosi che non riescano in ciò anche gli algoritmi?
Per la biologia d’altronde l’essere artisti non è il prodotto di un’anima metafisica, ma di una combinazione di algoritmo organici in grado di riconoscere pattern matematici.
David Cope è un professore che insegna musicologia all’università di Santa Cruz, in California ed è una delle figure più controverse nel mondo della musica classica.
Negli anni ’80 per superare un suo blocco creativo creò un’intelligenza artificiale che potesse aiutarlo. Decise di programmare qualcosa che avrebbe creato musica nel suo stile, in maniera che una volta ascoltato il prodotto dalla macchina avrebbe detto “ah, io questo non lo farei!”, e sarebbe subito corso a comporre qualcosa di suo.
Cope era convinto infatti che ogni opera musicale contenesse una serie di istruzioni per creare repliche diverse ma altamente simili tra loro.
EMI (Experiments in Musical Intelligence), la sua creatura ha così creato oltre cinquemila corali alla maniera di Bach. In un festival di Santa Cruz, Cope selezionò alcuni corali e li presentò. Il pubblico elogiò l’emozionante performance, raccontando come quella musica avesse toccato i loro animi.
Un giorno Steve Larson, docente dell’Università dell’Oregon, invitò Cope a una sfida. Alcuni pianisti in carne ed ossa avrebbero suonato tre pezzi, uno di Bach, uno di EMI e uno di Larson stesso. Al pubblico sarebbe stato chiesto di indovinare l’autore del brano.
Il giorno fatidico, appassionati di musica, docenti e studenti si raccolsero nella sala per assistere alla sfida. Alla fine furono assegnati i voti. Il risultato? Il brano di EMI fu scambiato per un pezzo originale di Bach, quello di Bach per il pezzo di Larson e la composizione di Larson per lo produzione di un computer. Il test di Turing fu superato a pieni voti.
Molti critici affermano che la la musica di EMI non ha profondità, tuttavia quando le persone ascoltano le sue composizioni, senza conoscere l’origine artificiale, provano qualcosa.
Se la curiosità dovesse assalire su Youtube sono presenti molti video, basta digitare David Cope e si trovano tutte le opere prodotte dalla sua creatura in silicio.
Non solo nella musica ma anche nell’arte gli algoritmi sono presenti.
Edmond de Belamy è un dipinto in inchiostro su tela creato da un algoritmo realizzato da un collettivo francese di menti legate alla finanza e all’intelligenza artificiale, chiamato Obvious.
Oltre 15mila opere realizzate in più di cinquecento anni sono state fatte analizzare all’artista artificiale e nella fase successiva ha creato l’opera.
Il quadro è diventato famoso per essere stato venduto nel 2018 per la bellezza di 432.500 dollari.
Gli algoritmi sono presenti anche nel mondo del design e della progettazione.
Da tempo si conosce la potenza del cosiddetto Generative Design. Un processo nel quale gli ingegneri progettisti possono specificare in modo interattivo i propri requisiti e obiettivi, compresi i materiali e i processi di produzione preferiti, e il motore generativo realizzerà automaticamente un progetto pronto per la produzione come punto iniziale o soluzione finale. Proprio grazie al Generative Design, Airbus ha realizzato un nuovo divisorio di cabina per il suo A320, risultando più resistente dell’originale, nonostante pesi la metà.
Se gli algoritmi sono diventati pure artisti, in cosa consiste l’arte?
I critici affermano che la presenza dell’uomo è imprescindibile e non può essere chiamata arte ciò che non è stato creato dall’uomo.
Tuttavia se le macchine riescono anche in ciò in cui gli esseri umani si vantavano di essere gli unici, cosa saprà fare meglio l’uomo rispetto agli algoritmi nei prossimi venti-trent’anni?